TINO DE LUCA – REMARE COME VOLARE

Era sabato ed eravamo in barca a Mondello. Quel giorno non fu il solito allenamento.

Avevamo appena fatto delle tirate incredibili cercando di sforzare i nostri corpi oltre il limite consentito dalla nostra non più tenera età e stavamo rientrando in spiaggia quando il coach al timone, senza preavviso o spiegazioni, ci fece fermare.

“Ok, adesso remate senza spalare”.
E fin qui fu facile perché l’avevamo già provato altre volte.

“Stop! Adesso prendete i remi al di sotto dell’impugnatura, più in basso, verso il centro del remo e remate così”.
Sembrò strano perché non c’era motivo di farlo. Né il coach Marco spiegò nulla. Noi ubbidimmo e basta.

“Stop”, ancora. “Adesso non impugnate i remi, ma poggiate le impugnature sui palmi delle vostre mani aperte, tenendoli sollevati in alto soltanto con i pollici. Continuate così”.
Qualcuno a quel punto chiese: “Come facciamo a tirare indietro i remi, una volta che le pale entrano in acqua?”.

“Soltanto allora dovrete chiudere le vostre dita sull’impugnatura e tirare fino a quando i remi escono nuovamente dall’acqua. A quel punto, aprite nuovamente le mani. E siate morbidi nel fare questo”.

Marco parlava sempre poco, ma quel poco bastava ed avanzava. Avevamo Imparato a seguirlo tra gli scampoli della sue parole. Remammo così per un po’, in silenzio, leggeri per quanto possibile, trattando la barca con una nuova delicatezza. Noi, rudi apprendisti di mare, non più forzuti canottieri ma ballerini di valzer, leggeri e delicati, fluidi e morbidi, carezzavamo la barca facendo volteggiare i remi tra l’acqua e l’aria senza sapere cosa ci aspettasse ancora.

“Stop!”, ancora una volta. “Adesso remate normalmente, cercando di sincronizzarvi al massimo con i vostri compagni, seguendo la loro schiena. Entrate tutti insieme in acqua”.
Noi, marinai obbedienti, innamorati della nostra amica barca, fummo felici per un po’.

“Senza fermarvi, adesso chiudete gli occhi e continuate a remare così”.
In quel momento di magico silenzio misto di acqua, mare e lampi tagliati del sole, nessuno chiese, semplicemente ci abbandonammo al nuovo ordine.

Così accade l’impossibile: noi quattro attempati uomini, improvvisati ballerini di valzer, sperimentammo l’assenza, il vuoto di gravità e diventammo astronauti nello spazio nero dei nostri occhi chiusi.

L’armonia che si creò fra noi quattro fu pari a un’esperienza mistica, quasi come la morte. E quando Marco ordinò noi di aprire gli occhi eravamo ancora lì, vivi come mai prima di allora. Fu talmente bello che pensammo di averlo sognato. Ma sperammo di farlo ancora.

La speranza è una cosa buona, diceva il protagonista del film  “Le ali della libertà”. Forse quanto i sogni. E fu Cristoforo Colombo a dire: il mare concederà ad ogni uomo nuove speranze, come il sonno porta i sogni.

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